Dove c’erano le pesche

Pubblicato da Paolo Galletti il

articolo da “terra” di Gianluca Baldrati

Le campagne della provincia di Ravenna hanno sempre vissuto importanti trasformazioni. Ci sono stati gli anni della barbabietola da zucchero, dei kiwi, dei peschi, che ancora oggi sono un prodotto tipico locale, ma l’ultima evoluzione dell’agricoltura bassoromagnola sembra aver preso una direzione del tutto nuova. Da Alfonsine a Massa Lombarda, da Lugo a Sant’Alberto è ormai facilissimo imbattersi in campi un tempo coltivati che vengono dedicati, oggi, all’installazione di pannelli fotovoltaici. Il meritorio impegno della Provincia di Ravenna di raggiungere, entro il 2020, il 20% di energia prodotta da fonti rinnovabili non può essere messo in discussione, così come è lodevole il 15% già  raggiunto, ma questo non può giustificare tutto ciò che viene fatto.

“Il business sta trasformando qualcosa di positivo in qualcosa di estremamente pericoloso” afferma Gabriele Serantoni dei Verdi di Lugo. Infatti, dato che il territorio provinciale produce più energia di quella che consuma, continuare a produrne altra in più, significa sostanzialmente subire l’impatto della produzione energetica per vendere l’energia ad altri. Quest’ultima frontiera dell’agricoltura, in cui non si coltiva più per mangiare, ma si usano i campi per produrre energia, sembra più un’aberrazione del concetto di agricoltura stessa che un’evoluzione da accogliere con entusiasmo. Mentre si parla di agricoltura a chilometro zero e di prodotti locali, si ruba terreno alle coltivazioni (poi chi li fermerà  più i pomodori che vengono dalla Cina?) per produrre energia che non utilizziamo, ma che dobbiamo vendere!

“Gli amministratori locali che tanto lodano i nuovi campi fotovoltaici dovrebbero anche ricordare che ogni ettaro in più dedicato all’installazione di pannelli fotovoltaici, è anche un ettaro in meno dedicato all’agricoltura e quindi, quei prodotti alimentari che prima venivano coltivati in quell’ettaro, ora arriveranno da campi che si trovano fuori provincia o fuori regione o addirittura fuori dall’Italia, comportando inquinamento legato al trasporto, allungando la filiera e allontanando il consumatore sempre di più dal produttore” rincara la dose Serantoni.

Un documentato articolo di Domenico Coiante di ASPO Italia ricorda che le aree agricole aride e marginali, ossia quelle più adatte all’installazione di pannelli fotovoltaici, principalmente “si trovano nel Sud e nelle Isole, dove si può contare su un insolazione annuale media più elevata. Pertanto, qualora si volesse coltivare a fotovoltaico soltanto il 18% di tali zone si potrebbe ricavare con l’efficienza attuale degli impianti l’intera produzione termoelettrica”. Non si capisce quindi perché un paese popoloso come l’Italia non lasci i terreni agricoli, bene strategico prezioso, a uso esclusivo dell’agricoltura.

Qualcosa sembra muoversi.

Il 18 settembre u.s., la direzione nazionale di Legambiente ha inviato alle Regioni un documento nel quale si chiede di semplificare l’installazione di pannelli fotovoltaici sui tetti e nelle aree dismesse e di regolamentare e limitare l’installazione dei pannelli a terra.

Il Consiglio Ragionale dell’Emilia-Romagna ha prontamente risposto approvando all’inizio di novembre una risoluzione presentata da Gabriella Meo dei Verdi nella quale si chiede alla Giunta Regionale di elaborare delle linee guida che limitino il fotovoltaico a terra.

Nella Bassa Romagna, territorio in cui i pannelli fotovoltaici nei campi spuntano come funghi, sembra che i Comuni, impegnati nella redazione del nuovo Regolamento Edilizio, non vogliano cogliere l’occasione e stiano rimandando al futuro ogni decisione.

Forse le regole arriveranno quando ormai sarà  troppo tardi.

Per approfondimenti: www.verdilugo.it

Gian Luca Baldrati


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