Dal “comunismo” al consumismo, la curiosa parabola emiliana

Pubblicato da segreteria il

di Paolo Galletti da ‘Terra’ quotidiano ecologista ogni giorno in edicola

Schematizziamo. L’Emilia-Romagna un tempo era una regione “comunista”.In realtà  era un esempio di socialdemocrazia di tipo europeo. Ora invece, vent’anni dopo la caduta del muro di Berlino, è diventata una regione consumista. Da una ventina d’anni a questa parte stiamo per esempio assistendo allo smantellamento del sistema commerciale tradizionale dei negozi e mercati di quartiere gestiti da piccoli commercianti, il che ha indotto nuove abitudini di acquisto di massa in grandi centri commerciali periferici messi su da grandi catene nazionali e straniere (e debitamente autorizzati dalle amministrazioni). Al contempo assistiamo alla proliferazione di micromarket, distributori automatici di cibo e bevande, circuiti di pizzerie da asporto e altri tipi di “cucine di strada” sia di tradizione italiana che esotica. Queste nuove modalità  di consumo, queste nuove abitudini alimentari, oltre che generare nuove ricchezze (e nuove povertà ), hanno un imponente impatto ambientale, con produzione di quantità  colossali di gas serra e di rifiuti. Facciamo qualche esempio.

La pizza. Vent’anni fa si andava a mangiarla in pizzeria, su un piatto che veniva lavato e poi riutilizzato. Questo succede ancora naturalmente, ma oggi la stragrande maggioranza delle pizze viene consumata a casa, confezionata dai nuovi pizzaioli take-away (ma quanti sono? c’è qualcuno che lo sa?) in una scatola di cartone vergine, che poi deve essere buttata via. Ogni sera i cassonetti sono pieni di queste scatole bianche, che generalmente finiscono incenerite oppure in discarica. Oppure la pizza (o qualcosa di simile) viene acquistata surgelata in un supermercato e poi riscaldata a casa. Di fianco all’autostrada del sole dalle parti di Modena è sorto negli anni scorsi un grosso stabilimento, credo si chiami Italpizza o qualcosa del genere, che cuoce per poi surgelarle milioni di queste pizze destinate ai banconi frigo dei supermercati. Quindi prima si cuoce, poi si surgela, poi si frigoconserva e frigotrasporta, infine si porta a casa in auto e si riscalda. Un ciclo energivoro micidiale per una banale pizza, che si ingolla in tre minuti davanti alla tv.

L’acqua. Vent’anni fa si beveva quasi solo dal rubinetto, nelle case, nelle scuole, negli uffici e nelle fabbriche. Ora nelle stesse case, scuole, uffici e fabbriche si beve quasi solo acqua impacchettata nella plastica, se va bene da un litro e mezzo, ma in quasi tutti i casi ormai in bottigliette da mezzo litro, che dopo due sorsi finiscono nel cestino. Calcoli piuttosto accurati ci dicono che tra trasporto, confezione, refrigerazione e rifiuto quel litro medio d’acqua per cittadino fa un chilo di gas serra, moltiplicato 4 milioni di persone per 365 giorni fa oltre un milione di tonnellate di anidride carbonica all’anno! Per due sorsi d’acqua. (Un possibile rimedio a questa situazione è in via di sperimentazione in alcuni comuni tra Reggio e Modena, dove vengono installate delle moderne fontane che distribuiscono gratis o a prezzo simbolico acqua dell’acquedotto liscia o gassata, refrigerata e non).

Gli aerei. Gli emiliano romagnoli da qualche tempo sono sempre in volo. L’esperienza dell’aereo che un tempo era rara e costosa oggi è banalizzata dalle compagnie low cost e a Bologna l’anno scorso ci sono stati oltre cinque milioni di passeggeri, cifre inimmaginabili negli anni ottanta, quando nel piccolo scalo di allora gli aerei si raggiungevano a piedi e se pioveva ti prestavano un ombrello. Il bello è che tutti vogliono che si arrivi a dieci milioni di movimenti, tanto che la regione ha deciso di sostenere economicamente con un bel po’ di milioni una costosa monorotaia dalla stazione centrale all’aeroporto, il people mover che fa tanto discutere i bolognesi, dato che il servizio all’aeroporto si potrebbe benissimo fare col treno che già  c’è.

L’auto. In Italia e in Emilia abbiamo oltre 600 auto ogni mille abitanti, un livello altissimo di motorizzazione, il più alto nei paesi europei di dimensioni paragonabili alla nostra. E queste auto sono sempre in giro, tre quarti dei viaggi per andare al lavoro si fanno in macchina ma nel tempo libero le usiamo ugualmente per raggiungere i suddetti supermercati, le spiagge o le montagne innevate. Il fenomeno non riguarda più solo le città , anzi è fortissima la tendenza agli spostamenti in auto nei numerosi centri medio piccoli, caratterizzati da un’intensa urbanizzazione periferica, che ha mangiato fino a otto ettari di campagna al giorno negli ultimi vent’anni.

La luce. Vista di notte dai colli la pianura emiliano romagnola ormai non ha nulla da invidiare a Los Angeles. Lampioni e fari letteralmente si sprecano, ce ne sono milioni, vengono illuminate a giorno le zone industriali, i parcheggi, strade e stradoni, persino le piste ciclabili, che non si capisce poi perché debbano avere tutti quei lampioni quando le bici hanno le proprie luci in dotazione. Nonostante la regione abbia una legge contro l’inquinamento luminoso si fa ben poco per farla rispettare, come dimostrano appunto tutte le luci che si vedono dall’alto, e che proprio per questo sono mal costruite e buttano via un sacco di energia.

Risultato? Siamo una delle regioni più energivore ed emissive d’Europa, facciamo ben 13 tonnellate l’anno di anidride carbonica equivalente a persona, che significa il 50% sopra la media nazionale ed europea. Siamo anche una regione ad altissimo livello di rifiuti prodotti, due kg al giorno a persona, molto più dei napoletani tanto vituperati, che ne fanno circa la metà . Otto milioni di chili di rifiuti da smaltire ogni giorno non sono uno scherzo né dal punto di vista dei camion che girano né da quello degli inceneritori o delle discariche (solo un terzo del rifiuto è riciclato, siamo ancora lontani dall’obiettivo comunitario dei due terzi).

Bene, visto che la situazione è così seria, allora c’è molto da fare per i Verdi e soprattutto bisogna smetterla di giocare di rimessa, con gli altri (leggi il Pd) che propongono opere faraoniche e noi che ci mettiamo a strillare di no. È ora di presentare provvedimenti originali per la diminuzione drastica degli imballaggi e dell’usa e getta. Ma è anche ora di cercare alleanze con le realtà  produttive più importanti in modo da stimolare collaborazioni nel settore. Per esempio prendiamo Granarolo, un’enorme cooperativa che potrebbe fare molto per ridurre i rifiuti associati alla distribuzione del latte introducendo una linea con vuoto a rendere (un cestello da due litri che stia nelle porte del frigo per esempio?) e, perché no, delle opportune fontane di quartiere dove il latte pastorizzato e refrigerato possa essere attinto con proprie bottiglie riutilizzabili virtualmente per sempre, risparmiando anche i 20-30 cent che costa ogni bottiglia di plastica. Sull’acqua si devono proporre politiche nuove e coraggiose, come ad esempio il divieto di installare distributori di bottigliette nelle scuole e negli uffici pubblici, da sostituirsi eventualmente con piccoli refrigeratori e gassificatori di acqua dell’acquedotto. Meglio ancora si deve proporre di limitare drasticamente fino a vietarlo lo sfruttamento delle sorgenti regionali da parte di imbottigliatori di acque più o meno minerali. Quelle sorgenti invece andrebbero in parte incanalate in nuovi acquedotti destinati a portare l’acqua sorgiva a nuove fontane pubbliche, direttamente nei quartieri più popolosi (in fondo non facevano così anche imperatori e papi?). Ancora, ci vuole una legge che induca i numerosissimi cittadini che hanno lo spazio per farlo a praticare il compostaggio domestico della frazione organica e degli sfalci e potature, affidando loro compostiere e tritarifiuti in comodato gratuito e stimolando la pratica con opportuni sconti sulla tassa del pattume. Le scatole porta pizza andrebbero tassate in base al costo di smaltimento che generano, mentre pizze surgelate e altri prodotti energivori in base alle emissioni di carbonio che generano. Quanto ai voli, si devono interrompere per legge le incentivazioni esplicite o surrettizie delle compagnie low cost da parte degli enti locali e delle società  aeroportuali e riesaminare i progetto faraonici di allargamento delle aerostazioni. Dobbiamo proporre una moratoria sul consumo di suolo, che spezzi la folle spirale edilizia che porterebbe tra pochi decenni alla cementificazione dell’intero territorio di pianura. I fondi necessari al sostentamento dei servizi pubblici devono venire da un’oculata gestione dell’esistente con eliminazione di assurdi sperperi, riduzione drastica dei costi della politica e delle amministrazioni (350 comuni e dieci province non ce li possiamo davvero permettere, con trenta sindaci e una regione ce la caveremmo molto meglio). La base verde esiste ancora e va interrogata, le idee vengono fuori, però bisogna uscire dal palazzo e tornare tra i cittadini, per tentare di sterzare ancora una volta, stavolta dal consumismo all’ecologismo.


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