L’ecologismo e gli ideali della Rivoluzione francese

Pubblicato da Alessandro Ronchi il

Intervengo nel dibattito innescato dalla lucida analisi di Marco Boato sui Verdi italiani ed europei. In un mio piccolo saggio (L’albero che cade e la foresta che cresce) pubblicato sul numero di gennaio scorso della rivista “Lo straniero” e disponibile anche sul sito www.gliecologisti.wordpress.com, ho dato la mia lettura dell’importante percorso politico dei Verdi italiani in questi trenta anni. Concordo con Boato quando definisce una scelta suicida quella dei Verdi, dal 2001 in poi, di autorecludersi nella riserva indiana della cosiddetta sinistra radicale, subendo l’egemonia del bertinottismo. I Verdi dovevano stare dentro alla galassia no global ma proponendo la propria cultura ecologista. Una cultura radicalmente critica dell’esistente, ma capace di proporre soluzioni universali ai problemi del nostro tempo. Non attardarsi in un movimentismo succube di teorizzazioni antagoniste, la solita pappa se pur presentata con nuove parole dai soliti teorici degli anni settanta come Negri.

Invece la pratica dei Verdi era spesso il governo, non sempre con brillanti risultati, e l’ideologia da sinistra radicale serviva solo da bandiera. Gli elettori hanno punito la sinistra arcobaleno che si candidava ad una opposizione garantita,lasciando all’illusione maggioritaria di Veltroni la fatica del governo. Oggi Vendola ha capito la lezione e, da presidente della regione Puglia, si propone addirittura come leader di un centrosinistra di governo. Ma non basta certo aver frettolosamente aggiunto la parola ecologia tra sinistra e libertà  per poter rappresentare in modo credibile quella cultura politica verde che in Europa ed in tutto il mondo si sta affermando come proposta politica per uscire dalla crisi attuale. Una crisi economica, sociale ma soprattutto ecologica. La capacità  del pianeta di sopportare il sistema industriale è ormai al limite.

Gli scienziati più autorevoli suonano la sirena sulla drammaticità  di cambiamenti climatici che oramai possiamo solo attenuare se ci muoviamo subito. La fine dell’era del petrolio si avvicina e una rivoluzione energetica è alle porte. Le migrazioni di massa verso l’Europa derivano anche da crisi alimentari e da guerre nate anche da questioni ambientali per il controllo delle risorse. E allora diventa non più rimandabile quella conversione ecologica della società  e della produzione, del modo di vivere, di abitare, di muoverci, di alimentarci, senza la quale il futuro è nero. Ma in Italia non se ne parla. L’agenda politica ha altre, false, priorità . In Germania la Merkel è costretta dall’incalzare dei Grunen, a fare un piano stringente per uscire dal nucleare. Qui siamo costretti a batterci per il quorum per un referendum per impedire il ritorno al nucleare. Nella crisi Fiat solo poche voci verdi e di Guido Viale hanno posto il tema della conversione ecologica dell’auto e dei mezzi per la mobilità . Per la gran parte va bene tutto, anche i suv a Torino, purché si produca, purché ci sia la crescita. Ma oggi l’occupazione è possibile solo in una nuova economia verde o blu che dir si voglia, in armonia con i cicli naturali (il famoso cerchio da chiudere di Barry Commoner).

Già  negli anni ottanta Capanna sosteneva che non si può essere Verdi se non si è rossi. Nel mondo non è così. In Europa non è così. Le forze della sinistra radicale sono residuali. Le socialdemocrazie sono in crisi di identità . Gli ideali della rivoluzione francese, libertà , uguaglianza, fraternità  oggi non si possono realizzare se non si risolve la crisi ecologica mondiale. Senza aria pulita, acqua potabile, terreno fertile, energia rinnovabile nessuno di questi ideali può essere raggiunto. Ma questo richiede un cambiamento del paradigma. Non si può aggiungere l’ecologia alle vecchie categorie di pensiero che hanno contribuito, in vario modo, a portarci nel vicolo cieco attuale. Quindi si rassegni Migliore: non si può inglobare l’ecologia in una riedizione, se pur ben confezionata, delle narrazioni di sinistra. Ma non perché l’ecologismo sia di destra o liberista. Ma perché l’ecologismo è un racconto diverso e attuale. L’idea di beni comuni, che esulano dal mercato, è pre-moderna, religiosa, dei popoli indigeni, ed oggi la cultura ecologista in senso lato l’ha recuperata. Come l’idea del genere umano non più come padrone ma Custode della natura. «Se vuoi la pace custodisci il creato» è il titolo di un innovativo messaggio dei vescovi italiani per lo scorso capodanno. Così come un’etica della responsabilità  verso i fratelli e verso tutta la natura che superi il consumismo anche egualitario.

Anche gli ecodem nel Pd attuale non hanno inciso sulle proposte del maggior partito di opposizione. C’è poi un uso dell’ecologismo come ulteriore forcone da agitare contro la casta dei politici. Ovviamente ha un certo seguito ed anche alcune ragioni. Ma dove si va senza un riferimento operativo ai Verdi in Europa e nel mondo? Ad occupare piccole miserabili poltroncine anticasta. Insomma tocca a donne e uomini, ragazze e ragazzi, giovani e anziani, lavorare in Italia per un movimento politico ecologista di livello europeo. I lavori in corso per una formazione federata di ecologisti e civici promettono bene. Acceleriamo il passo. Le illusioni dei partiti persona svaniranno. Costruiamo una leadership plurale. Ma soprattutto una solida cultura ecologista di livello europeo. Con decine di eco scuole in tutta Italia.

Paolo Galletti


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